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Abbandono, gestione non autorizzata di rifiuti e discarica abusiva nei “casi particolari”: fattispecie autonome di reato o fattispecie circostanziate?

  • segreteria5426
  • 4 giorni fa
  • Tempo di lettura: 29 min

L'approfondimento di Enrico Napoletano


Napoletano E., Abbandono, gestione non autorizzata di rifiuti e discarica abusiva nei “casi particolari”: fattispecie autonome di reato o fattispecie circostanziate?, in Riv. Trim. dir. amb., 04/2025, p. 1.



Sommario – 1. Il Decreto “Terra dei fuochi”. – 2. I criteri elaborati dalla dottrina e applicati in giurisprudenza per la determinazione della natura giuridica della norma. – 3. La nuova fattispecie di abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari (art. 255-bis). – 4. Le altre fattispecie: abbandono di rifiuti pericolosi (art. 255-ter), gestione non autorizzata di rifiuti (art. 256, co. 1-bis) e discarica abusiva con esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità delle persone o per l’ambiente (art. 256, co. 3-bis). – 5. Osservazioni conclusive.


 

1.       Il Decreto “Terra dei fuochi”.

 

Il D.l. 8 agosto 2025 n. 116, anche noto come “Decreto Terra dei fuochi” è intervenuto in modo significativo sulla risposta penale a quelle forme di gestione illecita di rifiuti che negli anni hanno assunto una sempre crescente pericolosità sociale in quanto atte a offendere non soltanto l’ambiente ma idonee anche ad esporre a pericolo la salute pubblica delle persone. Su tutte, basti pensare a quelle forme di abbandono indiscriminato di rifiuti, pericolosi e non pericolosi, mediante l’interramento che hanno falcidiato ettari di terreni della campagna casertana in prossimità sia a zone adiacenti a centri abitati e sia in aree già di per sé compromesse o soggette a procedure di bonifica ambientale.

L’esperienza giurisprudenziale di almeno l’ultimo decennio ha evidenziato chiaramente tutta l’inefficienza della risposta punitiva, approntata dalle fattispecie incriminatrici previgenti, a dissuadere e a reprimere fenomeni criminali dalla pericolosità crescente, a causa sia della strutturazione quali fattispecie contravvenzionali punite con la pena dell’arresto, sola o congiunta all’ammenda, e sia delle conseguenze sul piano processuale quanto a limitati termini di prescrizione dei reati (5 anni al massimo), del tutto inconferenti rispetto ai tempi di indagine, prima, e di processo, dopo, che rischiavano seriamente di vedere il reato già prescritto prima ancora della dichiarazione d’apertura del dibattimento; circostanza, questa, affatto irrealistica.

Occorreva, dunque, un intervento correttivo che rendesse maggiormente armonica e coordinata la risposta punitiva con le esigenze processuali. Da qui, non a caso, il D.l. n. 116/2025 nei lavori preparatori da atto di recepire con la riforma anche le istanze comunitarie già poste con la Direttiva (UE) 2024/1203 sul nuovo diritto penale ambientale, e precisamente l’inasprimento dell’apparato sanzionatorio vigente e la riarticolazione delle fattispecie incriminatrici nella gestione dei rifiuti da mere contravvenzioni e rinnovati delitti con un quadro edittale significativo cosi da assicurare anche tempi di prescrizione del reato assai più significativi. Ebbene, l’intervento del Decreto n. 116/2025 è, di fatto, avvenuto in tal senso ma, ciò che più ha catturato l’attenzione sono i c.d. casi particolari in cui si verificherebbero alcuni illeciti, e precisamente:

·       l’abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari (art. 255-bis);

·       l’abbandono di rifiuti pericolosi con esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità delle persone o per l’ambiente (art. 255-ter, co. 2);

·       la gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi o pericolosi con esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità delle persone o per l’ambiente (art. 256, co. 1-bis);

·       la discarica abusiva di rifiuti non pericolosi o pericolosi con esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità delle persone o per l’ambiente (art. 256, co. 3-bis).

Quattro norme che legano la maggiore pericolosità della condotta incriminatrice di base – l’abbandono di rifiuti pericolosi e non pericolosi, la gestione non autorizzata e la discarica abusiva – al ricorrere di determinate condizioni di luogo ove si consumerebbe la condotta illecita, con l’evidente e conseguente domanda: siamo in presenza di una nuova fattispecie penale incriminatrice o di una fattispecie circostanziata?

La domanda, per quanto banale possa sembrare, possiede evidenti risvolti sia sul piano penalistico sia processualistico e perciò dobbiamo ricorrere ai criteri elaborati dalla dottrina penalistica, recepiti dalle Sezioni Unite Penali del 2002 (circa il rapporto tra la truffa ex art. 640 c.p. e la truffa aggravata ex art. 640-bis c.p.) e, più di recente, del 2018 (in merito al rapporto tra il reato di immigrazione clandestina ex art. 12, co. 1 e la disposizione di cui al comma 3 dell’art. 12 del D.lgs. 25/07/1998, n. 286) per saperle individuare e classificare.

 

2.       I criteri elaborati dalla dottrina e applicati in giurisprudenza per la determinazione della natura giuridica della norma.

 

Come noto, nella maggior parte dei casi, la natura circostanziale di dati elementi di fattispecie risulta in maniera univoca dalla stessa formulazione legislativa – guardando al nomen juris della rubrica – mentre talvolta, invece, non è chiaro se l’elemento in questione integri una circostanza ovvero un elemento essenziale di una diversa e autonoma figura di reato. Tuttavia, la rubrica non è mai stata ritenuta indizio univoco e assoluto della voluntas legis.

Altro indizio dello stesso genere è quello che si potrebbe chiamare di tipo topografico, perché valorizza la collocazionedella norma: una norma formulata in un articolo separato denoterebbe una fattispecie autonoma di reato; di contro, se formulata nello stesso articolo che prevede il reato denoterebbe una fattispecie circostanziale. Anche questo indizio non è probante perché vi sono fattispecie formulate in articoli separati che, tuttavia, sono da classificarsi come circostanze aggravanti.

Per tracciare la distinzione tra circostanze del reato ed elementi costitutivi, allora, non si può prescindere, innanzitutto, dalla considerazione della specifica funzione che le circostanze stesse assolvono: lungi dal condizionare l’esistenza di un reato, esse si limitano a comportare una modificazione quantitativa (nel massimo o nel minimo) o qualitativa (pena di specie diversa) della pena edittale prevista per il reato semplice. Anche qui, però, il problema permane, in quanto occorre ancora verificare quando un determinato elemento assolva la funzione predetta e non integri, invece, gli stessi elementi costitutivi del reato.

A questo proposito le Sezioni Unite Penali del 2002[1], chiamate a stabilire se l’art. 640-bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) preveda una figura autonoma di reato ovvero una circostanza aggravante del reato di truffa, hanno fornito un utile contributo circa i criteri da adottare in questa operazione interpretativa. Innanzitutto, occorre guardare alla struttura del precetto o della sanzione. Il modo in cui il legislatore descrive gli elementi costitutivi della fattispecie può essere molto indicativo della volontà di qualificarli come circostanza o come reato autonomo. Si sostiene che«quando la fattispecie è descritta attraverso un mero rinvio al fatto-reato tipizzato in altra disposizione di legge, ci si trova in presenza di una circostanza aggravante»; di contro, «vi sono casi in cui un reato sicuramente autonomo è descritto solo per relationem». Altro criterio strutturale è dato dal modo di determinazione della pena: «in certi casi il legislatore determina la pena richiamando quella prevista in altra norma e applicando sulla stessa una variazione frazionaria in aumento o in diminuzione. Nonostante la determinazione per relationem possa far pensare alla configurazione di una circostanza, sono però frequenti i casi in cui è indubbia la previsione di uno autonomo reato»; in altri casi, invece, «il legislatore determina la pena modificandone la specie o mutando la cornice edittale rispetto alla pena di riferimento». Anche in questi casi in genere l’indizio non è univoco, perché, con siffatte variazioni del trattamento sanzionatorio talvolta il legislatore ha inteso configurare una figura nuova di reato e talaltra ha semplicemente previsto una circostanza c.d. autonoma o indipendente. Il criterio di tipo teleologico fornisce un’ulteriore indicazione del rapporto: «quando la fattispecie penale tutela un bene giuridico diverso rispetto a quello tutelato dalla fattispecie penale di riferimento, siamo di fronte a un’autonoma figura di reato e non a una circostanza aggravante». In tal senso si sono pronunciate numerose decisioni della Suprema Corte a Sezioni Unite Penali[2].

Rilevato il carattere insoddisfacente o comunque non pienamente risolutivo degli indici sopra esaminati, le Sezioni Unite Penali proseguono facendo riferimento al principio di legalità canonizzato nell’art. 25, co. 2 della Costituzione e nell’art. 1 del codice penale: «quando si controverte intorno alla natura costitutiva o circostanziale di un determinato elemento della fattispecie, si controverte per ciò stesso circa l’esistenza nell’ordinamento di una particolare figura criminosa. Ma per il principio di legalità questa figura esiste nell’ordinamento solo se è “espressamente” prevista, ovverosia se è contemplata in modo certo e incontrovertibile: sicché ogni dubbio ermeneutico deve essere risolto contro la qualificazione autonoma e a favore della qualificazione circostanziale della fattispecie». Questa teoria, tuttavia, presta il fianco a diverse critiche: «il principio di legalità vale per il reato semplice come per il reato circostanziato; sicché, in mancanza di un’espressa qualificazione legislativa, l’interprete dubbioso non potrebbe optare per una configurazione circostanziale invece che autonoma senza incidere ugualmente sul principio di legalità penale». Nello stesso ordine di idee, l’utilizzo del criterio sussidiario del favor rei, secondo cui «nei casi dubbi l’interprete dovrebbe qualificare la fattispecie come circostanziale, in quanto essa è più favorevole all’imputato, che in tal modo potrebbe godere dei benefici effetti del giudizio di bilanciamento tra circostanze». Ma nell’ordinamento penale, il favor rei è un principio di accertamento del fatto addebitato all’imputato, è cioè soltanto un principio che regola l’applicazione della legge al caso concreto, non già un canone di interpretazione della legge stessa.

In assenza di indici sicuri forniti dallo stesso legislatore, la dottrina ha individuato un più sicuro criterio discretivo che fa leva sull’esigenza di un rapporto di specialità, dettato dall’art. 15 c.p., tra l’ipotesi circostanziata e l’ipotesi semplice di reato: nel senso, precisamente, che la prima deve porsi in relazione di specie a genere rispetto alla seconda, in quanto deve includerne tutti gli elementi con l’aggiunta di uno o più requisiti specializzanti.

Non a caso, le Sezioni Unite Penali del 2018[3], chiamate a stabilire se le fattispecie disciplinate dall’art. 12, co. 3, D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituiscano circostanze aggravanti del delitto di cui all’art. 12, co. 1, del medesimo decreto legislativo ovvero figure autonome di reato, con Sentenza n. 40982 del 21 giugno 2018 statuiscono che «in assenza di espresse indicazioni legislative, il canone principale di differenziazione per individuare la natura circostanziale o autonoma di una figura criminis è rappresentato dal criterio di specialità dettato dall’art. 15 c.p., in quanto gli elementi circostanziali si pongono in rapporto di species ad genus al cospetto della fattispecie base del reato, costituendone una specificazione».

 

3.       La nuova fattispecie di abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari (art. 255-bis).

 

Cominciando dall’art. 255-bis appare indubbio che ci troviamo dinanzi a due nuove e autonome fattispecie delittuose, entrambe articolate attorno alla condotta base di “abbandono” o di “deposito” al suolo o, ancora, di “immissione” di rifiuti non pericolosi in acque superficiali o sotterranee, in violazione delle disposizioni degli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, la cui maggiore offensività della condotta al bene giuridico protetto deriva dalla condizione ambientale in cui i rifiuti vengono rilasciati, e precisamente:

·       se dal fatto di abbandono, deposito o immissione deriva un pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone ovvero pericolo di compromissione o deterioramento [lettera a)] delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo (punto 1) oppure di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna (punto 2);

·       se il fatto è commesso in siti “contaminati” o “potenzialmente contaminati” ai sensi dell’articolo 240 o comunque sulle strade di accesso ai predetti siti e relative pertinenze [lettera b)].

Soffermandoci un momento sull’analisi della struttura giuridica della fattispecie, siamo in presenza di una tipica ipotesi di reato comune di pericolo, la cui condotta tipica può essere realizzata da “chiunque” e, quindi, da qualunque soggetto purché privo di quella specifica qualifica soggettiva che al successivo co. 2 determina l’irrogazione di una pena detentiva rafforzata: sicché, qualora il fatto sopra descritto venga commesso da un soggetto non qualificato – come, ad esempio, un privato cittadino – la fattispecie incriminatrice di cui al co. 1 prevede la sanzione della reclusione da 6 mesi a 5 anni mentre, invece, se il fatto venga commesso da “titolari di imprese” o da “responsabili di enti” la risposta sanzionatoria si aggrava al co. 2 con la previsione della penale della reclusione da 9 mesi a 5 anni e 6 mesi. In proposito, va aggiunta una considerazione: il rapporto tra le due fattispecie, la prima quale reato comune la seconda quale reato proprio fa sì che se per un verso è certamente vero che i “titolari di imprese” o i “responsabili di enti” siano sottoposti ad un trattamento sanzionatorio di maggiore rigore, altrettanto non può dirsi per quelle figure soggettive diversamente qualificate – pensiamo, ad esempio, ad un Manager o ad un Responsabile di funzione – che, se responsabile di taluna delle condotte rilevanti, sarà chiamato a rispondere ai sensi della fattispecie comune di cui al co. 1, aggravata dalla circostanza comune di cui all’art. 61, n. 9, per aver commesso il fatto con abuso di poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, nei casi in cui si tratti di un soggetto che svolge funzioni pubbliche, o della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 11 per aver commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni di ufficio o di prestazione d’opera, nei casi in cui si tratti di un soggetto che svolge funzioni presso enti privati.

Quanto al bene giuridico protetto occorre una riflessione: se analizziamo la fattispecie in relazione alla portata offensiva della condotta tipica, non v’è dubbio che il bene protetto dalla condotta penalmente rilevante di abbandono, deposito o di immissione di rifiuti non pericolosi sia l’ambiente in senso lato ma, viceversa, se la esaminiamo in relazione alla sua proiezione offensiva e cioè all’esposizione a pericolo delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo [lett. a), punto 1] oppure di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna [lett. a), punto 2] allora il bene fine oggetto di protezione nei casi particolari è triplice: l’incolumità individuale (la vita) e pubblica (la salute) e la salvaguardia dell’ambiente.

Ciò detto, passando all’esame del piano meramente oggettivo della nuova fattispecie penale incriminatrice, due sono le considerazioni da fare quanto ai “casi particolari”: la prima riguarda l’ipotesi in cui dall’abbandono, dal deposito o dall’immissione di rifiuti speciali non pericolosi derivi un pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone ovvero ancora derivi un pericolo di compromissione o deterioramento delle matrici ambientali interessate.

Per vero, la fattispecie sembra porsi in un rapporto di progressione di offensività rispetto alle più gravi ipotesi delittuose di inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.) e di morte o lesione come conseguenza dell’inquinamento (art. 452-ter c.p.).

Se l’inquinamento ambientale è una tipica ipotesi di evento e di danno che ricorre allorquando si è in presenza di una contaminazione che abbia determinato un’alterazione ambientale – intesa come compromissione di tipo funzionale o deterioramento di tipo strutturale – che sia oggettivamente misurabile – riferendosi, ove presenti, a dei limiti di Legge – e dalle caratteristiche significative – non limitato, quindi, al solo scostamento dal limite legale – ci si domanda, allora, al ricorrere di quali elementi fattuali possa ritenersi sussistente una situazione di pericolo che non integri gli elementi della fattispecie di inquinamento. Vi è da chiedersi, quindi, trattandosi il nuovo 255-bis di una fattispecie di pericolo astratto, se la situazione di pericolo legata alla situazione di abbandono, deposito o immissione di rifiuti non pericolosi debba rinvenirsi secondo i canoni ermeneutici del tentativo punibile – atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare un inquinamento ambientale – o se, invece, sarebbe stato necessario introdurre elementi descrittivi ulteriori idonei a specializzare la condotta criminosa di quel necessario quid pluris rispetto alla mera condotta base di abbandono ma tale da non raggiungere ancora quella soglia di rilevanza tipica del danno da inquinamento.

Tale quid pluris non si evince dalla descrizione del “caso particolare” che costituisce una mera asserzione che, di per sé, parrebbe riproporre le stesse problematiche sul piano dell’accertamento probatorio già riscontrate nella più grave – e sovrapponibile – ipotesi delittuosa del disastro ambientale di cui al punto n. 3) dell’art. 452-quater c.p.: costituisce disastro ambientale “l'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”.

Per vero, la soluzione va rinvenuta più semplicemente nella categorizzazione della fattispecie: come detto, trattasi di una fattispecie di pericolo ma presunto o astratto oppure concreto o effettivo?

La questione non è di poco conto: come noto, i reati di pericolo vengono, tradizionalmente, distinti in reati di pericolo concreto o effettivo e di pericolo presunto o astratto. Nei primi il pericolo – in genere concepito come rilevante possibilità di verificazione di un evento temuto – rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, sicché spetta al giudice, in base alle circostanze concrete del singolo caso, accertarne l’esistenza effettiva della condizione di pericolo. Nei reati di pericolo presunto o astratto, invece, si presume, in base ad una regola di esperienza, che al compimento di certe azioni si accompagni tipicamente o generalmente la messa in pericolo di un determinato bene e, una volta accertata la condotta di abbandono, di deposito o di immissione illecita di rifiuti non pericolosi, il giudice è dispensato dallo svolgere ulteriori indagini circa la verificazione della condizione di pericolo.

Ebbene, l’art. 255-bis parrebbe costituito come ipotesi di pericolo concreto ed effettivo in quanto la condizione di pericolo per la vita, per l’incolumità pubblica e per l’ambiente derivanti dalla condotta base di abbandono, di deposito o di immissione illecita di rifiuti non pericolosi è inserita come elemento costitutivo qualificante della tipicità della condotta, attribuendole un maggiore disvalore penale che, come tale, dovrà essere indagato dal Pubblico Ministero e accertato dal giudice, in base alle circostanze concrete in cui si è verificata la condotta illecita al fine di stabilire l’esistenza effettiva o no della condizione di pericolo per uno dei beni finali posti in protezione dalla norma penale.

Se così è, allora, c’è da chiedersi in che termini il giudice possa accertare la condizione di pericolo per la vita, per l’incolumità pubblica o per l’ambiente atteso che la norma parrebbe porsi in un rapporto di progressione di offensività rispetto alle più gravi fattispecie di inquinamento (art. 452-bis c.p.) e disastro ambientale (art. 452-quater c.p.).

Appare evidente, allora, che la condizione di pericolo conseguente alla condotta di abbandono, di deposito o di immissione di rifiuti non pericolosi debba presentare un quid pluris aggiuntivo rispetto alla mera condotta base, rilevante ai sensi dell’art. 255, ma tale da non raggiungere quel rilievo di significatività e misurabilità della compromissione o deterioramento della matrice ambientale bersaglio, tipica dell’inquinamento. La fattispecie appare, quindi, richiedere l’accertamento di una condizione oggettiva specializzante la modalità di abbandono, di deposito o di immissione illecita dei rifiuti non pericolosi che per caratteristiche o modalità – quantità, eterogeneità, modalità di occultamento, qualità del sito di abbandono o vicinanza ad aree sensibili, quali centri abitati o terreni agricoli – faccia ritenere concreta l’esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità pubblica o l’ambiente ancorché in assenza di evidenze significative e misurabili di danno alle matrici ambientali o di un quadro patologico astrattamente ricollegabile all’esposizione per inalazione o ingestione di sostanze o cibi contaminati.

A ciò, tuttavia, non corrisponde altrettanta proporzionalità sotto il profilo della risposta sanzionatoria, come emerge chiaramente dalla ricostruzione sotto operata in Tabella 1:

 

Art. 255-bis “Abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari”

Rifiuti non pericolosi

Privati: Reclusione da 6 mesi a 5 anni

Titolari d’impresa o Responsabile Ente: Reclusione da 9 mesi a 5 anni e 6 mesi



Art. 255-ter, co. 2 “Abbandono di rifiuti pericolosi” nei casi particolari

Rifiuti pericolosi

Privati: Reclusione da 1 a 5 anni

Titolari d’impresa o Responsabile Ente: Reclusione da 2 anni a 6 anni e 6 mesi



Art. 452-bis “Inquinamento ambientale”

Doloso

Reclusione da 2 a 6 anni

Art. 452-quater “Disastro ambientale”

Doloso

Reclusione da 5 a 15 anni

Tabella 1

 

A ben vedere, mentre la progressione di offensività, nei termini poc’anzi definiti, appare ben strutturata anche sul piano della proporzionalità della risposta sanzionatoria qualora la condotta illecita nei casi particolari esaminati sia commessa da un soggetto attivo non qualificato (art. 255-bis, co. 1), prevedendo un progressivo e proporzionato aumento della pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni per l’abbandono di rifiuti non pericolosi (art. 255-bis, co. 1), con un aumento del minimo edittale della pena della reclusione che passa da 1 a 5 anni per i casi in cui la condotta attiene a rifiuti pericolosi (art. 255-ter), fino alla maggior pena della reclusione da 2 a 6 anni per i casi di inquinamento (art. 452-bis c.p.) o disastro ambientale da 5 a 15 anni (art. 452-quater c.p.) altrettanto non può dirsi nei casi in cui l’illecito sia commesso da un soggetto qualificato. Quando, infatti, l’abbandono di rifiuti, non pericolosi (art. 255-bis, co. 2) o pericolosi (art. 255-ter, co. 3), è commesso da un titolare d’impresa o responsabile di ente, salta la proporzionalità nell’ottica della progressione criminosa tra fattispecie e, quindi, la fattispecie di pericolo concreto di abbandono di rifiuti pericolosi in casi particolari risulta punita più gravemente (reclusione da 2 anni a 6 anni e 6 mesi) della fattispecie delittuosa d’evento e di danno di inquinamento ambientale doloso (reclusione da 2 a 6 anni).

La valutazione si complica ulteriormente laddove, poi, si mette a confronto la fattispecie di pericolo concreto in esame con l’affine fattispecie di pericolo di inquinamento ambientale colposo di cui all’art. 452-quinquies c.p.: considerato che l’art. 259-ter,rubricato “delitti colposi in materia di rifiuti”, dispone che “se taluno dei fatti di cui agli articoli 255-bis, 255-ter, 256 e 259 è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi”, allora, riemergono tutte le note critiche già mosse alle fattispecie di pericolo colposo[4].

Nella Tabella 2, che segue, proviamo a riassumere il rapporto tra le diverse fattispecie:

 

Art. 255-bis “Abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari”

Rifiuti non pericolosi

Privati: Reclusione da 6 mesi a 5 anni

Titolari d’impresa o Responsabile Ente: Reclusione da 9 mesi a 5 anni e 6 mesi



Art. 259-ter

Pericolo colposo

Dim. da 1/3 a 2/3

Privati: da 4m-2m a 3a. 4m.-1a. 8m.

Tit. Az. e Resp. Enti: da 6m.-3m. a 3a. 8m.-1a. 10m.



Art. 255-ter, co. 2 “Abbandono di rifiuti pericolosi” nei casi particolari

Rifiuti pericolosi

Privati: Reclusione da 1 a 5 anni

Titolari d’impresa o Responsabile Ente: Reclusione da 2 anni a 6 anni e 6 mesi



Art. 259-ter

Pericolo colposo

Dim. da 1/3 a 2/3

Privati: da 8m-4m a 3a. 4m.-1a. 8m.

Tit. Az. e Resp. Enti: da 1a. 4m.-8m. a 4a. 4m.-1a. 2m.



Art. 452-bis “Inquinamento ambientale”

Doloso

Reclusione da 2 a 6 anni

 

Tentativo doloso

Reclusione da 8 mesi a 4 anni

Art. 452-quinquies, co. 1

Colposo

Reclusione da 8 mesi a 4 anni

Art. 452-quinquies, co. 2

Pericolo colposo

Reclusione da 5 mesi e 10 giorni a 2 anni e 8 mesi

Art. 452-quater “Disastro ambientale”

Doloso

Reclusione da 5 a 15 anni

 

Tentativo doloso

Reclusione da 1 anno e 8 mesi a 10 anni

Art. 452-quinquies, co. 1

Colposo

Reclusione da 1 anno e 8 mesi a 10 anni

Art. 452-quinquies, co. 2

Pericolo colposo

Reclusione da 1 anno, 1 mese e 10 giorni a 8 anni

Tabella 2

 

Appaiono subito evidenti alcune storture della nuova fattispecie calibrata anche nella forma colposa di pericolo: da un lato, il pericolo doloso di abbandono, deposito o immissione illecita di rifiuti non pericolosi e pericolosi con esposizione a pericolo della vita, dell’incolumità pubblica o dell’ambiente, anche commesso da un soggetto qualificato, appare sanzionato con una pena assai più rigorosa di quella prevista per la fattispecie di tentativo doloso di danno ambientale da inquinamento; dall’altro lato, poi, anche il pericolo colposo di abbandono, deposito o immissione illecita di rifiuti non pericolosi e pericolosi con esposizione a pericolo della vita, dell’incolumità pubblica o dell’ambiente, anche commesso da un soggetto qualificato, appare sanzionato con una pena più grave di quella prevista per sanzionare i casi di pericolo colposo di inquinamento ambientale, se applicata la riduzione minima di 1/3, ma di contro risulta grave della condotta di inquinamento colposo tranne che per il caso in cui la condotta di abbandono, di deposito o immissione illecita sia commessa da un soggetto qualificato e attenga rifiuti pericolosi!

In conclusione, posta a confronto con condotte dal sicuro maggiore disvalore penale, la nuova norma presenta evidenti deficit di legittimità sotto il profilo della proporzionalità della risposta sanzionatoria alla rilevanza penale del fatto incriminato.

Appare, invece, maggiormente condivisibile la scelta del legislatore di riconoscere un quid pluris di pericolosità allorquando – in riferimento alla seconda fattispecie autonoma di reato prevista alla lettera b) – la condotta di abbandono, deposito o immissione di rifiuti non pericolosi avvenga in un sito “contaminato” o “potenzialmente contaminato” ai sensi dell’articolo 240 o comunque sulle strade di accesso ai predetti siti e relative pertinenze.

Innanzitutto, vi è da chiedersi se la circostanza in questione rilevi nei soli casi in cui l’abbandono sia eseguito in un sito contaminato o potenzialmente contaminato da cause differenti dalla presenza dei rifiuti o se, invece, il quid pluris è da ricondurre proprio alla presenza dei rifiuti in quanto causa della contaminazione del sito in questione. A ben vedere la norma non è chiara in proposito e si potrebbe propendere maggiormente per la prima delle due considerazioni atteso che, ciò che la norma intende punire più rigorosamente nel caso di specie, è l’esposizione a pericolo ulteriormente derivante proprio da una situazione di abbandono, deposito o immissione illecita di rifiuti non pericolosi in un sito o in una sua pertinenza già compromesso da una contaminazione o da una situazione di potenziale contaminazione. La maggiore gravità, dunque, è ricollegata alle condizioni di deterioramento o di compromissione ambientale del sito che, proprio a causa dell’illecito abbandono di rifiuti, comporta un aggravamento della condizione ambientale con l’insorgenza di una condizione di pericoloso concreto per l’incolumità individuale o pubblica o per le matrici ambientali già oggetto di procedura di bonifica ex art. 240. Va da sé che nella descrizione del fatto tipico vengono inseriti due elementi che circoscrivono l’area del penalmente rilevante ai soli “siti contaminati o potenzialmente contaminati ai sensi dell’articolo 240” – rientrando nell’ipotesi più generale di cui alla lettera a) gli altri siti non contaminati oggetto di abbandono illecito di rifiuti – o comunque “sulle strade di accesso ai predetti siti e relative pertinenze”. La ratio della norma è chiara: preservare l’integrità di un sito già compromesso da ulteriori fonti potenziali di contaminazione fin dalle strade di accesso o dalle pertinenze al sito interessato dalla procedura di bonifica.

Quanto, in ultimo, alla definizione di sito contaminato o potenzialmente contaminato ai sensi dell’art. 240 valgono le regole generali secondo le quali un sito è potenzialmente contaminato allorquando l’indagine preliminare abbia restituito la presenza di contaminanti in concentrazioni soglia di contaminazione superiori ai limiti di legge per la specifica tipologia di destinazione d’uso cui è accatastato il sito e, successivamente, è contaminato allorquando l’analisi di rischio restituisce valori superiori alla concentrazioni soglia di rischio tale da necessitare interventi di messa in sicurezza o di bonifica. Fuori da questi casi, si rientra, come detto, nella fattispecie generale di cui alla lettera a).

 

4.       Le altre fattispecie: abbandono di rifiuti pericolosi (art. 255-ter), gestione non autorizzata di rifiuti (art. 256, co. 1-bis) e discarica abusiva con esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità delle persone o per l’ambiente (art. 256, co. 3-bis).

 

A dispetto dell’art. 255-bis che, all’evidenza, costituisce una nuova e autonoma fattispecie penale incriminatrice, non altrettanto scontata appare la valutazione quanto alle altre tre norme che prevedono una pena più grave per i casi in cui la condotta di base determini una situazione di esposizione a pericolo, e precisamente:

·       l’abbandono di rifiuti pericolosi con esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità delle persone o per l’ambiente (art. 255-ter, co. 2);

·       la gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi o pericolosi con esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità delle persone o per l’ambiente (art. 256, co. 1-bis);

·       la discarica abusiva di rifiuti non pericolosi o pericolosi con esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità delle persone o per l’ambiente (art. 256, co. 3-bis).

Ponendo a confronto le quattro normative, riportate sinteticamente in Tabella 3, appare da subito evidente la differente tecnica di legiferazione adoperata:

 

Art. 255-bis

Art. 255-ter, co. 2

Art. 256, co. 1-bis

Art. 256, co. 3-bis

1. Chiunque, in violazione delle disposizioni degli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti non pericolosi ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni se:

a) dal fatto deriva pericolo per la vita o l’incolumità delle persone ovvero pericolo di compromissione o deterioramento:

1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna;

b) il fatto è commesso in siti contaminati o potenzialmente contaminati ai sensi dell’articolo 240 o comunque sulle strade di accesso ai predetti siti e relative pertinenze.

 

1. Chiunque, in violazione delle disposizioni degli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti pericolosi ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

2. La pena è della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni quando:

a) dal fatto deriva pericolo per la vita o per la incolumità delle persone ovvero pericolo di compromissione o deterioramento:

1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna;

b) il fatto è commesso in siti contaminati o potenzialmente contaminati ai sensi dell’articolo 240 o comunque sulle strade di accesso ai predetti siti e relative pertinenze.

1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, co. 1, Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Se i fatti riguardano rifiuti pericolosi, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

1-bis. La pena per i fatti di cui al comma 1, primo periodo, è della reclusione da uno a cinque anni quando:

a) dal fatto deriva pericolo per la vita o per la incolumità delle persone ovvero pericolo di compromissione o deterioramento:

1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna;

b) il fatto è commesso in siti contaminati o potenzialmente contaminati ai sensi dell’articolo 240 o comunque sulle strade di accesso ai predetti siti e relative pertinenze.

Se, ricorrendo taluno dei casi di cui al periodo che precede, i fatti riguardano rifiuti pericolosi, la pena è della reclusione da due anni a sei anni e sei mesi.

3-bis. La realizzazione o gestione di una discarica non autorizzata è punita con la reclusione da due a sei anni quando:

a) dal fatto deriva pericolo per la vita o per la incolumità delle persone ovvero pericolo di compromissione o deterioramento:

1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna;

b) il fatto è commesso in siti contaminati o potenzialmente contaminati ai sensi dell’articolo 240 o comunque sulle strade di accesso ai predetti siti e relative pertinenze.

Se, ricorrendo taluno dei casi di cui al periodo che precede, la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi, la pena è della reclusione da due anni e sei mesi a sette anni.

Tabella 3

 

A prima vista le 3 norme sopra richiamate parrebbero porsi, rispetto alla condotta descritta nella fattispecie di base, più come circostanza aggravante speciale che non come fattispecie autonoma, con qualche riserva, forse, quanto alla nuova norma inserita nella parte dedicata alla discarica abusiva; ma procediamo con ordine.

Innanzitutto, il nomen juris della rubrica sia in riferimento all’art. 255-ter sia all’art. 256 non pare possa ritenersi un serio ed univoco indizio assoluto della voluntas legis e nemmeno nel caso di specie assumerebbe un ruolo dirimente posto che la rubrica fa riferimento genericamente a condotte che poi, nei vari commi cui si articola la norma, vengono descritte in plurime distinte e autonome fattispecie incriminatrici di natura differente, e precisamente: l’art. 255-ter è rubricato “abbandono di rifiuti pericolosi” e in sé contiene differenti e plurime fattispecie autonome di reato, prevedendo, rispettivamente, al primo comma la punibilità delle condotte base di abbandono, di deposito o di immissione illecita di rifiuti pericolosi in violazione di legge (artt. 192, co. 1 e 2, 226, co. 2, e 231, co. 1 e 2), al secondo comma la maggiore punibilità nei casi in cui la condotta anzidetta determini un’esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità pubblica o l’ambiente e, infine, al terzo comma una pena ulteriormente maggiorata nei casi in cui la condotta base di cui al co. 1 o nei casi particolari di cui al co. 2 sia commessa da Titolare d’impresa o Responsabile di enti, ponendosi, in ciò in un rapporto sostanzialmente speculare rispettivamente alle condotte di base di cui all’art. 255 per i casi di abbandono di rifiuti non pericolosi commessi da privati o soggetti qualificati e all’art. 255-bis per i casi particolari. Allo stesso modo, volgendo lo sguardo all’art. 256, rubricato “gestione non autorizzata di rifiuti”, troviamo al co. 1 e al co. 3, rispettivamente le condotte base di gestione di rifiuti, anche pericolosi, in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione (artt. 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216) e le condotte base di realizzazione e gestione di una discarica abusiva e, a seguire, ai co. 1-bis e 3-bis, le condotte di gestione non autorizzata di rifiuti e di discarica abusiva nei casi particolari.

Tenuto conto dell’anzidetta articolazione normativa, interna alla medesima rubrica, facendo applicazione del criterio topografico, saremmo indotti a ritenere che, in riferimento all’art. 255-ter, la formulazione dei casi particolari al co. 2, nello stesso articolo ove sono descritte le condotte base al co. 1, e in riferimento all’art. 256, la formulazione dei casi particolari ai co. 1-bis e 3-bis, nello stesso articolo ove sono descritte le condotte base ai co. 1 e 3, denoterebbe la loro natura di fattispecie circostanziali anziché autonome e distinte fattispecie incriminatrici, in linea con l’opposta valutazione di autonoma fattispecie per l’art. 255-bis, come peraltro confermato, in tale ultima ipotesi, anche dalla rubrica normativa.

Tuttavia, anche tale indice non appare propriamente determinante se guardiamo alla tecnica descrittiva adoperata dal legislatore: mentre l’art. 255-ter, co. 2 – “La pena è della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni quando…” – è l’art. 256, co. 1-bis“La pena per i fatti di cui al comma 1, primo periodo, è della reclusione da 1 a 5 anni quando…” – parrebbero richiamare per relationem la condotta penalmente rilevante di base, ora di abbandono ora di gestione non autorizzata di rifiuti, prevedendo una pena maggiorata al ricorrere di determinate circostanze di pericolo, tale da evidenziarne la natura circostanziale, non altrettanto parrebbe dirsi per il co 3-bis“La realizzazione o gestione di una discarica non autorizzata è punita con la reclusione da due a sei anni quando …” – che, invece, sul pano oggettivo, non rimanda alla condotta di base ma riporta nella descrizione quegli elementi descrittivi del fatto tipico – “la realizzazione o la gestione della discarica abusiva” – che se determinano un’esposizione a pericolo presentano un maggiore disvalore penale meritevole di una risposta sanzionatoria maggiorata, propria dei un’autonoma fattispecie incriminatrice.

Peraltro, non pare si possa giungere a differente conclusione anche guardando alla specifica funzione che le circostanze stesse assolvono, in quanto, mentre nel caso dell’art. 255-ter, co. 2 e 256, co. 1-bis, esse, lungi dal condizionare l’esistenza del reato, si limitano a comportare una modificazione quantitativa (nel massimo o nel minimo) della pena edittale prevista per il reato semplice di cui al co. 1 dell’art. 255-ter e 256 mentre, invece, con riferimento alla discarica abusiva in casi particolari, ci cui al co. 3-bis, la sanzione maggiorata integra gli stessi elementi costitutivi del reato ivi descritto.

A conferma di questa prima lettura, allora, non si può prescindere dal ricorre al più accreditato tra i criteri proposti dalla dottrina e dalla giurisprudenza: il criterio di specialità.

Mentre nel caso del co. 1-bis dell’art. 256 il richiamo per relationem alla condotta illecita di base di cui al co. 1 sia esplicito “La pena per i fatti di cui al comma 1, primo periodo, è della reclusione da 1 a 5 anni quando…” – nel caso del co. 2 dell’art. 255-ter, invece, il richiamo ai fatti di cui al co. 1 può dirsi implicito stante la chiara formulazione – “La pena è della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni quando…” – che denota chiaramente l’aggancio alla condotta di base di cui al co. 1 rispetto al quale prevede, in entrambi i casi, una modifica quantitativa (nel massimo e nel minimo) della pena edittale prevista per il reato semplice con l’aggiunta di un elemento specializzante, che integra la tipicità delle condotte di base, e precisamente: l’esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità pubblica o per l’ambiente in considerazione delle particolari modalità di gestione illecita dei rifiuti quando deriva un pericolo per la vita o per la incolumità delle persone ovvero un pericolo di compromissione o deterioramento delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo ovvero di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna o, ancoraquando il fatto è commesso in siti contaminati o potenzialmente contaminati ai sensi dell’articolo 240 o comunque sulle strade di accesso ai predetti siti e relative pertinenze.

Il pericolo per la vita, l’incolumità pubblica o per l’ambiente è, dunque, un elemento specializzante che integra per relationem la condotta base di cui al co. 1 degli artt. 255-ter e 256.

Una siffatta struttura indica la chiara volontà del legislatore di configurare l’art. 255-ter, co. 2 e l’art. 256, co. 1-biscome fattispecie circostanziata comune, ad effetto speciale, in quanto, sul piano oggettivo, il co. 2 dell’art. 255-ter e il co. 1-bis dell’art. 256 non immutano la descrizione delle condotte illecite di base – rispettivamente, l’abbandono, il deposito o l’immissione illecita di rifiuti pericolosi, nei casi di cui al co. 1 dell’art. 255-ter e la gestione non autorizzata di rifiuti, anche pericolosi, nei casi dei cui al co. 1 dell’art. 256 – ma lo integrano “per aggiunta” con l’inserimento di un dato specializzante: l’insorgenza di una situazione di pericolo per la vita, per l’incolumità pubblica o per l’ambiente, prevedendo un trattamento sanzionatorio di maggior rigore:

·       la pena della reclusione passa da 1 a 5 anni della fattispecie base di cui al co. 1 dell’art. 255-ter alla pena della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni nei casi particolari di cui al co. 2;

·       la pena dell’arresto passa da 3 mesi a 1 anno o con dell’ammenda da 2.600,00 euro a 26.000,00 euro, se si tratta di gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi, mentre la pena è della reclusione da 1 a 5 anni, se i fatti riguardano rifiuti pericolosi, nella fattispecie base di cui al co. 1 dell’art. 256 per passare, nei casi particolari generati da rifiuti non pericolosi, alla reclusione da 1 a 5 anni e, nei casi dei rifiuti pericolosi, alla reclusione da 2 anni a 6 anni e 6 mesi.

In conclusione, facendo applicazione dei principi di diritto enucleati dalle Sezioni Unite del 2002 e 2018 è possibile ritenere che la descrizione delle due fattispecie in commento non muta gli elementi essenziali della fattispecie base, né quelli materiali né quelli psicologici per cui è possibile affermare che tra il reato-base e il reato circostanziato intercorre un rapporto di specialità unilaterale, per specificazione o per aggiunta, nel senso che il secondo (il co. 2 dell’art. 255-ter e il co. 1-bis dell’art. 256) include tutti gli elementi essenziali del primo (art. 255-ter, co. 1 e 256, co. 1) con la specificazione o l’aggiunta di un elemento circostanziale che opera sul piano oggettivo della fattispecie colposa: il pericolo.

Trattasi dunque di una circostanza aggravante comune ad effetto speciale che determina la trasformazione della fattispecie base di pericolo astratto, di cui al co. 1, in fattispecie circostanziata di pericolo concreto, allorquando la condotta illecita determina un effettivo pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone o per l’ambiente.

Un discorso diverso va fatto, invece, per il co. 3-bis che, a differenza delle due norme precedenti, ripropone la descrizione della condotta illecita di base quale elemento essenziale della fattispecie senza porre alcun richiamo per relationem, diretto o indiretto, al co. 3: “La realizzazione o gestione di una discarica non autorizzata è punita con la reclusione da 2 a 6 anni quando” ne deriva un’esposizione a pericolo per la vita, per l’incolumità pubblica o per l’ambiente causata da rifiuti non pericolosi e se la discarica “è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi, la pena è della reclusione da 2 anni e 6 mesi a 7 anni”.

A differenza di quanto detto per il co. 1-bis, qui la tecnica legiferativa appare differente non solo nella forma ma anche nella sostanza. Infatti, nel caso di specie non ricorre alcun rapporto di genere a specie tra il co. 3 e il 3-bis in quanto per la tipizzazione della condotta illecita di discarica abusiva non occorre rinviare al co. 3 atteso che il co. 3-bis già prevede quale condotta penalmente rilevante “la realizzazione o gestione di una discarica non autorizzata”. Sicché, non necessitando alcun rinvio interpretativo al co. 3 per recuperare gli elementi descrittivi del fatto tipico, già definito, ne consegue che il co. 3-bis costituisce una vera e propria autonoma fattispecie penale incriminatrice, strutturata come reato di pericolo concreto in quanto sarà necessario accertare che dalla condotta di realizzazione o di gestione di una discarica di rifiuti, sia essa composta da rifiuti pericolosi o non pericolosi, sia derivato concretamente un pericolo per la vita o per l’incolumità pubblica o per l’ambiente su determinate matrici ambientali o in determinate aree già compromesse.

Un’ultima considerazione in ordine al rapporto tra fattispecie, come sintetizzato in Tabella 4:

 

Art. 256, co. 3-bis “Discarica abusiva”

Rifiuti non pericolosi

Reclusione da 2 a 6 anni

(+1/3 = 2 anni e 8 mesi a 8 anni)

 

Rifiuti pericolosi

Reclusione da 2 anni e 6 mesi a 7 anni

(+1/3 = 3 anni e 4 mesi a 9 anni e 4 mesi)

 

 

Confisca obbligatoria

 

Aggravante 259-bis

Aumento 1/3

Art. 259-ter

Pericolo colposo

Dim. da 1/3 a 2/3

RNP: da 1a 4m-8m a 4a-2a

RP: da 1a 6m-10m a 4a 4m-2a 4m

Art. 452-bis “Inquinamento ambientale”

Doloso

Reclusione da 2 a 6 anni

 

Tentativo doloso

Reclusione da 8 mesi a 4 anni

Art. 452-quinquies, co. 1

Colposo

Reclusione da 8 mesi a 4 anni

Art. 452-quinquies, co. 2

Pericolo colposo

Reclusione da 5 mesi e 10 giorni a 2 anni e 8 mesi

Art. 452-quater “Disastro ambientale”

Doloso

Reclusione da 5 a 15 anni

 

Tentativo doloso

Reclusione da 1 anno e 8 mesi a 10 anni

Art. 452-quinquies, co. 1

Colposo

Reclusione da 1 anno e 8 mesi a 10 anni

Art. 452-quinquies, co. 2

Pericolo colposo

Reclusione da 1 anno, 1 mese e 10 giorni a 8 anni

Tabella 4

 

Anche qui appare di difficile comprensione la ratio che ha guidato il legislatore nel riconoscere un disvalore penale maggiore alla realizzazione colposa di una discarica abusiva di rifiuti, anche pericolosi, con esposizione a pericolo per la vita, l’incolumità pubblica o l’ambiente, rispetto all’affine fattispecie colposa e di pericolo colposo di inquinamento ambientale: la prima, per l’effetto della diminuente di cui all’art. 259-ter, punita con la pena della reclusione da 1 anno e 4 mesi (riduzione di 1/3) o 8 mesi (riduzione di 2/3) a 4 anni (riduzione di 1/3) o 2 anni (riduzione di 2/3), per i casi in cui la discarica abusiva colposa e pericolosa sia alimentata da rifiuti non pericolosi, ovvero, per i casi di rifiuti pericolosi, invece, la pena passa da 1 anno e 6 mesi (riduzione di 1/3) o 10 mesi (riduzione di 2/3) a 4 anni e 4 mesi (riduzione di 1/3) o 2 anni e 4 mesi (riduzione di 2/3) rispetto, invece, alle più gravi ipotesi colpose di danno e di evento d’inquinamento ambientale, punita con la pena della reclusione da 8 mesi a 4 anni, o del pericolo colposo di inquinamento ambientale, punita con la pena della reclusione da 5 mesi e 10 giorni a 2 anni e 8 mesi.

Una scelta punitiva, questa del legislatore, che si pone in modo sproporzionato rispetto alla reale gravità delle condotte esaminate atteso che, la prima è una fattispecie di pericolo concreto mentre la seconda una fattispecie di evento e di danno.

 

5.       Osservazioni conclusive.

 

Quanto ricostruito finora evidenzia luci e ombre dell’intervento di riforma di agosto. Se da un lato, certamente, la normativa penale in materia di rifiuti necessitava di un adeguamento alle reali portate offensive delle nuove condotte criminali, recependo – correttamente – le indicazioni comunitarie della Direttiva UE 2024/1203, dall’altro lato, appare di difficile comprensione sotto un profilo politico criminale la scelta di inasprire, a parità di condotta, la risposta punitiva per i titolari d’imprese o per i responsabili di enti, ingenerando, così, una sproporzione della risposta punitiva che presenta sicuri profili di illegittimità costituzionale quanto al rispetto dei principi di legalità, sufficiente determinatezza e uguaglianza.


[1] Cass. Pen., Sez. Un., Sentenza n. 26351 del 26 luglio 2002.

[2]  Cass. Pen., Sez. Un., Sentenza n. 11399 del 26 novembre 1982; Id. Cass. Pen., Sez. Un., Sentenza n. 9148 del 12 settembre 1991; Cass. Pen., Sez. Un., Sentenza n. 119 del 8 gennaio 1998.

[3] Cass. Pen., Sez. Un., Sentenza n. 40982 del 21 giugno 2018.

[4] Napoletano, Manuale di diritto penale ambientale, III^ ed., Zanichelli, Bologna, 217 ss.

 
 
 
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